CHE CARATTERISTICHE HA IL SENSO DI COLPA DOPO UN LUTTO?

A volte può sembrare più utile sentire il senso di colpa che altre emozioni.

Spesso dopo la morte di un proprio caro potreste provare senso di colpa per non avere fatto abbastanza soprattutto se fra voi c’era un rapporto ambivalenteverso il quale avete ancora delle aspettative in sospeso, qualcosa che vi attendevate prima della morte.

Per ambivalente intendo un rapporto con sentimenti di amore e di risentimento che generano l’aspettativa di essere riconosciuti e amati, da una parte e il bisogno di esprimere la propria rabbia soffocata, dall’altra. Se la persona con cui avete questo tipo di rapporto viene a mancare, prima di soddisfare questa aspettativa, può succedere che vi sentiate in colpa per non aver fatto abbastanza. Spesso indica una scelta inconscia di manifestare un sentimento che è più accettabile, socialmente, piuttosto della rabbia per il torto subito e cioè di non essere stati riconosciuti e amati come desiderato.

Sempre in caso di lutto, sentirsi in colpa per non aver fatto abbastanza può anche essere una scelta inconscia che protegge dal dolore eccessivo per la perdita del proprio caro. In questo caso non potete elaborare il lutto se prima non elaborate il senso di colpa e le emozioni ad esso collegate come ad es. la rabbia.

In questi due casi il senso di colpa assume le seguenti caratteristiche:

– copre sentimenti meno accettabili come la rabbia o il dolore della perdita,
– dà la sensazione di avere il controllo sugli eventi.

Un’ultima situazione in cui ci si può sentire in colpa è quando non si comprendono bene le circostanze del decesso, come in caso di morte in un ambiente diverso da quello che si desidera per il proprio caro o quando non si ha avuto il tempo necessario per salutarlo. In questi casi le fantasie e i dubbi prendono il sopravvento sulla realtà a tal punto che non si vedono più gli aspetti positivi e naturali dell’evento.

In realtà ognuno di noi fa sempre ciò che è in grado di fare e spesso, a posteriori, costruiamo delle fantasie sul passato in cui avremo dovuto fare di più, ma il passato non si cambia e sicuramente abbiamo fatto quello che potevamo con le nostre paure, i nostri limiti e le nostre risorse.

CHIEDERSI PERCHE’ ALIMENTA IL SENSO DI COLPA

Verso i due anni circa il bambino cerca di dare una risposta alle sue domande. Compaiono i primi perché ai quali l’adulto spesso fa fatica a rispondere. I perchédei bambini hanno un doppio significato: causa e finalità.“La causalità presenta delle connotazioni di motivazione, di intenzione e di dovere”(Flavell). La finalità è intesa come scopo prefissato, volontario, deciso dall’individuo.

Per i bambini di questa età nella natura non esiste il caso.

Tutto fatto secondo un piano prestabilito di cui l’essere umano è il centro e quindi il responsabile del risultato di una sua azione. E’ questo il motivo per il quale egli ricerca il perché degli eventi, pensando che ogni evento abbia una motivazione consapevole e uno scopo prestabilito dalla persona.

Dai 4/5 anni, secondo Piaget, inizia il senso morale nel bambino; un comportamento buono o cattivo è svincolato dalla motivazione, ma legato a una regola considerata assoluta alla quale segue una punizione.

Dopo i 7/8 anni inizia la riflessione e il confronto con il pensiero degli altri. I punti di vista mutano e il ragionamento è più complesso e inizia a considerare le reali motivazioni legate all’azione, ma è ancora limitato.

E’ solo dopo i nove anni che riuscirà a dare un reale concetto di causalità agli eventi nato dal confronto e dalla riflessione con gli altri, considerando la distrazione e il caso. Il senso di colpa ha raggiunto la piena maturazione. La conoscenza dell’inconscio è data dall’esperienza culturale e avviene in età adulta.

In età adulta può succedere che una persona si chieda continuamente il perché delle cose e degli eventi, ma non riesca a darsi una risposta e si senta profondamente arrabbiata con l’altro o con sé. Normalmente il problema risiede nel fatto che la persona utilizza le strategie della fase dell’egocentrismo infantile, fase in cui la risposta ai perché serviva per spiegare il motivo del comportamento, le intenzioni e il dovere dell’altro nella relazione.

In realtà crescendo l’individuo scopre che non sempre è possibile spiegare, comprendere, le proprie intenzioni perché l’azione può essere il risultato della distrazione, della casualità o di motivi inconsci di cui non ne è consapevole.

Nel senso di colpa la persona può irrigidirsi nella ricerca continua del “perché” di un’azione o di un pensiero, suscitando in sé il senso di colpa. Si tormenta alla ricerca di una risposta che spieghi il suo gesto e indipendentemente dalla risposta si sentirà in colpa. Ricercare il perché di un gesto ritenuto “colpevole” non alleggerisce dalla colpa, ma può addirittura rinforzarla.

RICERCARE IL BISOGNO ALLA BASE DELL’AZIONE O DEL PENSIERO

Nel rimorso la persona pensa “Ho sbagliato, ma so che è normale sbagliare”, “Ho sbagliato, ma non sono sbagliato”, “Mi rendo conto che M. sta soffrendo per quello che ho fatto, mi dispiace di aver fatto ciò, mi rendo conto di aver agito male, voglio riparare”. In questo modo la persona invece di fare riferimento alle intenzioni e al proprio dovere verso l’altro, si focalizza sull’accettazione di sé e di quello che ha fatto, empatizzando con il disagio dell’altro e attivandosi per riparare. Da questo livello è più facile ricercare il bisogno conscio o inconscio che in quel momento lo ha guidato.

Allo stesso modo il genitore che si chiede “Perché mio figlio non ha fatto i compiti?” si tormenta di domande per ricercare le cause, i motivi, dell’azione e poi accusare il bambino di negligenza, ma il risultato di farlo sentire solamente in colpa. Questo atteggiamento infatti non è utile a risolvere il problema. L’atteggiamento adeguato è di ricercare concretamente uno scambio con luiper comprendere il bisogno che lo ha portato a non fare i compiti.

Nel primo caso il figlio sentendosi in colpa tende a innescare dei comportamenti che lo salvaguardano da questo sentimento come: negare la colpa, dire bugie, manipolare la realtà o passivizzarsi.

Nel secondo caso invece il genitore stimola il senso di responsabilità e l’autonomia e il bambino può pensare a delle strategie alternative, più costruttive.

Partendo dal perché lo accusate di trasgredire a una regola, lo giudicate come sbagliato e manifestate rabbia, trasmettendo il messaggio che state male (siete arrabbiati) per colpa sua. In questo modo il genitore non accoglie se stesso nella sua difficoltà di essere genitore e non accoglie il figlio nella sua difficoltà di crescere. Dovrebbe invece insegnargli a esprimere bisogni, emozioni per costruire regole proprie che gli servono per realizzarsi ed essere autonomo, sapendo che si possono anche scontrare con le vostre. Il genitore aiuta il figlio a differenziarsi da lui per essere mentalmente ed emotivamente autonomo.

Nel caso della colpevolizzazione è il genitore stesso che insegna al figlio il senso di colpa. Il messaggio che dà è il seguente “Sentiti in colpa per quello che hai fatto. Come puoi farmi questo?”.Questo modello genitoriale è incentrato su di sé (fase dell’egocentrismo in cui il mondo ruota intorno a se stessi) e dà il messaggio che avere un bisogno diverso dal genitore è sbagliato. Cosa fare? In questo caso è importante parlare col bambino rispetto ai suoi bisogni e alle sue difficoltà per aiutarlo a costruire un’autonomia personale che lo renda individuo separato da voi e quindi diverso.Potrebbe veramente avere bisogno di voi e del vostro amore e non di rigide regole familiari costruite solo da uno dei due. Le regole sono date dai genitori e necessarie, ma quando il bambino cresce devono essere trasformate in valori. Accettate il fatto che far soffrire gli altri fa parte della vita, anche se triste, perché gli altri spesso hanno desideri e bisogni diversi dai vostri.

Dott.ssa Patrizia Baroncini Lanzini Donzelli