ASSIMILAZIONE E ACCOMODAMENTO NELLA TEORIA DI PIAGET
Nella teoria degli stadi, Piaget distingue quattro grandi modelli di organizzazione delle strutture cognitive (1959).
Ogni stadio confluisce nel successivo e nessuno di essi può essere saltato, egli ritiene che ogni comportamento possa essere visto come un tentativo di adattamento delle vecchie strutture cognitive con nuove funzioni, che avviene secondo due passaggi. Essi sono: l’assimilazione e l’accomodamento.
L’assimilazione consiste in pratica coordinare le diverse informazioni ottenute tramite le molteplici vie sensoriali, sino a integrarle per decodificare la realtà.
L’accomodamento invece consiste nel modificare gli schemi mentali e comportamentali con le nuove informazioni assimilate attraverso i sensi.
Metaforicamente è come ingerire del cibo che viene assimilato e trasformato dagli organi in modo da essere utilizzabile per il funzionamento del corpo.
LA TEORIA DI PIAGET, LA MALATTIA E IL LUTTO
Utilizzo la teoria degli stadi di Piaget per distinguere le diverse fasi dello sviluppo del bambino nell’affrontare il tema delle malattie e della morte. Essa distingue quattro stadi di organizzazione delle strutture cognitive:
– 1° stadio senso motorio. Dalla nascita ai due anni: gli schemi di questo periodo sono senso-motori. Essi organizzano in modo progressivamente più complesso le informazioni sensoriali, e permettono l’emergere di comportamenti sempre più adattivi, ma le rappresentazioni cognitive sono o assenti o comunque assai distanti da una valutazione realistica delle cose.
La malattia: il bambino pensa che sia “normale” il suo stato di malattia. La non normalità è l’assenza della madre.
Nella mia esperienza clinica ho osservato che spesso i fratellini che rimanevano a casa col papà, mentre la mamma era in ospedale con il fratello/sorella, avevano incubi notturni. In reparto era eccezionale il fatto che un bambino ricoverato soffrisse di incubi notturni, d’altronde aveva vicino la madre che lo rassicurava se aveva paura.
La morte: la morte è vissuta come assenza della persona che non c’è, ma può sempre riapparire.
L’intervento: creargli delle esperienze senso-motorie inserendo delle attività che stimolino in modo positivo la sua percezione del mondo e facilitino l’integrazione dell’esperienza di malattia. Il maggiore contatto fisico della mamma diventa fondamentale per contenere il suo disagio. Dalla nascita ai due anni èconsolabile se contenuto fisicamente. In caso di crisi di rabbia può essere contenuto distraendolo con colori o suoni o rumori particolari (es: le bolle di sapone o il rumore dell’acqua o della musica).
Verso un anno e mezzo/due inizia ad essere lui il riferimento di sé e familiarizza con l’ambiente e altre figure.
Il bambino ha inoltre bisogno di conferme positive (sorridere quando lo si vede), di rinforzo verbale sul suo comportamento e di essere richiamato in modo fermo, ma dolce sui suoi comportamenti inadeguati.
– 2° stadio pre-operatorio. Dai due ai sette anni: in questo periodo si sviluppa gradualmente la rappresentazione cognitiva del mondo esterno, con le sue leggi e le sue relazioni. È la fase dell’esplorazione.
Il pensiero è assolutamente egocentrico e vede il mondo solo dal suo punto di vista.
Pensa che la sua esperienza sia uguale a quella degli altri bambini. Se lui ha la malattia, anche gli altri l’hanno avuta. Pensa che il comportamento dei suoi genitori sia come quello degli altri genitori. Le regole che lui conosce sono uguali per tutti.
La malattia: dai tre ai sette anni è consapevole dell’esperienza di malattia raccolta attraverso i sensi, ma è un fenomeno magico (“Mi sono ammalato perchè mi ha punto una formica”). Vive il presente a tal punto che i momenti dolorosi del giorno prima sono passati e non ripetibili e il futuro è vissuto in base al presente. Il suo mondo è magico con fate, orchi e streghe, con oggetti buoni e cattivi. Cosi leggerà la sua malattia e i ricoveri come una punizione perché cattivo. Importante è portargli degli elementi di realtà, come i risultati degli esami e rassicurarlo sul fatto che non è colpa sua se si è ammalato e che i genitori gli vogliono bene. È nella fase dell’egocentrismo e pensa che se sta bene è merito suo mentre se sta male è colpa sua. Dipende da lui star bene.
La morte: Fino ai quattro-cinque anni la morte è ancora concepita come un’assenza della persona cara, ma che può sempre riapparire, mentre dopo quest’età inizia a formarsi anche il concetto di morte anche se in opposizione al concetto di vita. Identifica il movimento con l’essere vivo e avere uno scopo, un’intenzione. Es. la luna si muove e mi segue mentre cammino (e quindi è viva). Col tempo impara a conoscere gli oggetti e a comprendere maggiormente il funzionamento degli eventi naturali come la pioggia, il vento, ecc… Solo gli oggetti (es:piante), gli animali e le persone che hanno un movimento proprio (deciso da loro) possono morire. La morte è comunque provvisoria e reversibile nel senso che la persona deceduta può tornare. L’esclamazione tipica di quest’età è “Ora è morto, ma quando torna a casa?”.
L’intervento: spiegargli ogni cosa anche se non la chiede, con estrema serenità. Ha ancora bisogno della presenza dei genitori come rifugio sicuro. È interessato a conoscere gli altri adulti e gli piace conquistarli. Vanno confermate le sue conquiste e i suoi giochi.
– 3° stadio delle operazioni concrete. Dai sette agli undici anni: è il periodo della vita in cui si acquisisce una concezione abbastanza coerente, anche se ancora rudimentale, del tempo, dello spazio, dei numeri e della logica. Si gettano così le basi per l’acquisizione di quelle concezioni fondamentali alla comprensione degli eventi e della realtà, più concreti.
La malattia: a sette-nove anni è consapevole che la malattia è all’interno del corpo e la causa può essere esterna vista come contaminazione da un oggetto o da una persona cattiva. Può essere ingerita o respirata (es: ho respirato l’aria cattiva e ho male ai polmoni). Il bambino si aspetta di guarire perché collabora con i dottori che lo guariranno. Si dice “Se prima sono stato cattivo, ho sbagliato e mi sono ammalato, ora collaboro e guarisco”. Spesso vuole sapere quello che gli sta succedendo nei dettagli, controllando ogni passo, ogni manovra. È lui che deve decidere i tempi e i modi per prendere i farmaci o mangiare, sapendo che non ci saranno ripercussioni sulla sua persona. Impara a prendersi in carico.
La morte: assume carattere di irreversibilità (la persona cara è morta e non può più tornare) verso gli otto anni. In un primo momento la morte è la conseguenza di un atto aggressivo esterno, come un incidente. Solo più tardi diventa un evento naturale, biologico legato alla vecchiaia e successivamente anche alla malattia di una persona giovane. Il bambino pena che se collabora andrà tutto bene e guarirà.
L’intervento: attività di gruppo e coinvolgimento con altri bambini. Giochi di competizione e di creazione. Mostrarsi tolleranti verso i suoi comportamenti infantili e interessarsi alle sue attività. È la fase in cui il senso morale si sta definendo e quindi conosce e distingue ciò che è giusto fare da ciò che non lo è.
– 4° stadio delle operazioni formali. Dagli undici ai quindici anni: diviene in grado di capire i principi del pensiero causale e della sperimentazione scientifica. Inizia a separarsi, almeno concettualmente, dai genitori e a formare la sua identità distinta ed incerta. È la fase del confronto e della critica. Vuole essere come gli altri e allo stesso tempo si sente unico.
La malattia: hanno sempre più una maggiore conoscenza dell’organismo umano. Identifica chiaramente gli organi umani e un insieme di cause che generano la malattia. Tendono ad assumere comportamenti inadeguati e inefficaci per la cura. Sanno imporsi, ma non sanno riconoscere i loro bisogni e quindi non sono in grado di proteggersi e prendersi cura di sé. I loro pensieri sono tutti “fuori” dal reparto, con i loro interessi, e quindi non tollerano il ricovero e spesso non collaborano. Spesso in questa fase di età regrediscono e tornano a comportarsi come bambini, ma pensano come adolescenti. È in questa fase di età che il sintomo organico si trasforma in sintomo nevrotico e quindi in ansia.
La morte: ora la morte è un evento ineluttabile e irreversibile, anche se il senso di onnipotenza non gli permette di contattare la paura per un possibile aggravamento di malattia. Pensa comunque di farcela. Il suo pensiero è rivolto ai suoi interessi personali più che alla malattia.
Personalmente i ragazzi adolescenti che ho seguito in questi anni erano maggiormente preoccupati di perdere le loro attività, gli amici e i riferimenti esterni all’ospedale piuttosto che vivere con drammaticità (come farebbe un adulto) l’evento dell’aggravamento e della morte.
Intervento: è la fase in cui il ragazzo ha voglia di porsi completamente a modo suo per far emergere la sua identità che ovviamente non deve corrispondere a quella precedente di bambino. Rassicurarlo che le trasformazioni che vive sono passeggere e dargli garanzie reali che riacquisterà il suo aspetto iniziale. Stimolare la sua parte adulta che si prende cura di sé e che collabora con i medici, ad es. “I medici ti curano con i farmaci e tu cosa intendi fare per guarire?” oppure “Prendere i farmaci ti aiuta per migliorare presto e tornare a casa alle tue attività e dai tuoi amici”.
Dott.ssa Patrizia Baroncini L.D.